L’Unità Investigativa di Greenpeace Italia, in collaborazione con la trasmissione televisiva Report, ha tracciato i resi effettuati con brand del settore fast-fashion tramite le piattaforme di e-commerce (in particolare Amazon, Temu, Zalando, Zara, H&M, OVS, Shein e Asos). All’interno del report “Moda in viaggio. Il costo nascosto dei resi online: i mille giri del fast-fashion che inquina il pianeta”, Greenpeace Italia ha raccolto i dati emersi nel corso di questi due mesi di indagine.
Il viaggio dei resi: Greenpeace traccia l’impatto ambientale del fast-fashion
Dopo aver acquistato 24 capi d’abbigliamento online, i protagonisti dell’indagine hanno fatto richiesta di reso e nascosto un localizzatore GPS in ogni vestito. In 58 giorni, i pacchi hanno percorso nel complesso circa 100 mila chilometri. La distanza media percorsa dai prodotti per consegna e reso è stata di 4.502 km. Il tragitto più breve è stato di 1.147 km, il più lungo di 10.297 km. I 24 capi di abbigliamento sono stati venduti e rivenduti complessivamente 40 volte e resi per ben 29 volte. A oggi, 14 indumenti su 24 (pari al 58%) non sono ancora stati rivenduti.
«La nostra indagine conferma come la facilità con cui si possono effettuare i resi nel settore del fast-fashion, quasi sempre gratuiti per il cliente, generi impatti ambientali nascosti e molto rilevanti», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
Eco-impatto nascosto: emissioni di CO2 e rifiuti di packaging nell’industria della moda
La startup INDACO2 ha eseguito una stima delle emissioni prodotte dal trasporto e dal packaging dei capi d’abbigliamento e ha scoperto che l’impatto ambientale medio del trasporto di ogni ordine e reso corrisponde a 2,78 kg di CO2 equivalente, emissioni su cui il packaging incide per circa il 16%. In media, per il confezionamento di ogni pacco, sono necessari 74 g di plastica e 221 g di cartone. Il costo medio del carburante per il trasporto è stimato in 0,87 euro.
Greenpeace sottolinea che solo il 3% della moda è circolare e che i vestiti nuovi prodotti a partire da abiti vecchi costituiscono solo l’1%. L’industria della moda risulta essere tra i settori produttivi più inquinanti: soltanto nell’Unione Europea il consumo di prodotti tessili risulta il quarto settore per impatti su ambiente e clima, il terzo per consumo d’acqua e di suolo. Un dato che dovrebbe far riflettere è la quantita di prodotti tessili buttati ogni anno: 5,8 milioni di tonnellate, circa 12 kg a persona.
Cosa si potrebbe fare per arginare il problema?
«Mentre alcune nazioni europee hanno già legiferato per arginare o evitare il ricorso alla distruzione dei capi d’abbigliamento che vengono resi al venditore, lo stesso non può dirsi per la pratica dei resi facilitati, che incoraggia l’acquisto compulsivo di vestiti usa e getta, con gravi conseguenze per il pianeta» specifica Ungherese.